Cos’hanno in comune una studentessa in Economia e commercio, una 30enne laureata in Psicologia e un musicista quarantenne disoccupato? Nulla, tranne il fatto di aver svolto, più o meno nello stesso periodo, uno o più stage. In un albergo di lusso, in un’azienda informatica, in un’associazione culturale. Lo stage è un periodo di apprendimento sul campo: consente di entrare in contatto con un’azienda, imparare i primi rudimenti di un mestiere e capire se quel lavoro è adatto a noi. Per questo la legge che lo ha istituito (la 196 del 1997, art. 18) lo chiama tirocinio “formativo e di orientamento”. Non è un rapporto di lavoro, non dà diritto a una retribuzione ma solo a un rimborso spese a discrezione dell’azienda. Il numero dei tirocini attivati ogni anno è sempre più alto. Due le ragioni dell’incremento: la riforma universitaria del 2001, quella che ha introdotto la laurea triennale e che li ha elevati a strumento per acquisire i crediti formativi, e la legge Moratti del 2003, che ha promosso lo stage anche nelle scuole superiori. Il tasso di occupazione di chi ha partecipato a uno stage durante e dopo gli studi universitari è positivo: a un anno dalla laurea risulta occupato il 66% di chi ha svolto uno stage, contro il 53% di chi non lo ha svolto (dati Almalaurea). Lo stage resta lo strumento principale per trovare lavoro. Attenzione, però: non è tutto oro quello che luccica. Ci sono stage formativi e lavoro mascherato da stage. Non solo: la legge non pone limiti di età e spesso il tirocinio viene proposto anche a chi non è più ragazzino. Infine non sempre si conclude con un contratto di lavoro. Ecco tre storie significative e i commenti degli esperti.
fonte: http://www.millionaire.it
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