La flessibilità sembra essere diventata caratteristica non solo del mercato del lavoro, ma anche delle norme dettate per regolamentarlo, se è vero che dopo poco tempo dall'entrata in vigore della riforma attuata con la L. 28 giugno 2012, n. 92 (cd. Riforma Fornero), il legislatore è dovuto intervenire immediatamente con una serie di correttivi apportati con il D.L. 83/2012 convertito in L. 134/2012.
Come non bastasse, tutte le forze politiche che avevano accompagnato l'approvazione parlamentare del corpus normativo intervenuto dopo quaranta anni sul cuore della disciplina lavoristica - già annunciano grandiosi progetti di riforma, evidentemente convinte che basti intervenire sulla leva normativa, per sollevare un mercato del lavoro depresso dalla mancanza di interventi strutturali in altri settori dell'economia.
Tra gli scopi proclamati della riforma vi è quello della lotta al precariato, sorprendentemente combattuto favorendo l'"elasticità", così in entrata come in uscita, dal mondo del lavoro, ed elevando l'apprendistato a canale privilegiato di ingresso dei giovani nel mondo del lavoro. Particolarmente incisivo è stato l'intervento sulla disciplina dei licenziamenti, se è vero che l'art. 18 dello Statuto dei Lavoratori, per anni baluardo intoccabile a difesa della stabilità del posto di lavoro, è stato profondamente ritoccato, degradando di fatto il reintegro nel posto di lavoro da regola ad eccezione e sancendo un forte arretramento della tutela dei diritti dei lavoratori.
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